Vigneti in champagne

IL CLIMA

Il clima è continentale e relativamente rigido, a volte turbato dalle influenze oceaniche e spesso piovoso. La regione è esposta ai forti venti atlantici che arrivano dalla Normandia senza incontrare ostacoli, e l’insolazione è minore rispetto alle altre regioni vinicole della Francia. Paradossalmente, però, proprio queste condizioni climatiche estreme permettono una lenta maturazione degli acini. La forte escursione termica tra giorno e notte favorisce la formazione nell’uva della componente acida che si traduce poi in freschezza e vivacità dello champagne. I grappoli che maturano qui, danno una produzione di qualità con rese naturalmente basse e con il tenore in esteri più elevato del mondo. Gli esteri sono quelle componenti volatili che conferiscono al vino la complessità e l’ampiezza dei profumi.

 

Dettaglio del terreno gessoso in champagneIL SUOLO NELLE 5 ZONE DI PRODUZIONE

1. Montagne de Reims. Il vitigno dominante è il pinot nero che conferisce ai vini forza potenza e struttura.
2. Vallée de la Marne. Il vitigno dominate è il pinot meunier, che conferisce ai vini morbidezza e sentori di frutta.
3. Côte des Blancs. Il vitigno principale è lo Chardonnay, che conferisce ai vini finezza ed eleganza.

In queste tre zone troviamo un substrato calcareo gessoso con una forte presenza di fossili marini (belemnita quadrata). Questo gesso (craie), si è formato in seguito a sommovimenti succedutisi circa 70 milioni di anni fa ed è un eccezionale regolatore delle risorse idriche di cui la vite ha bisogno. Il calcare gessoso rappresenta infatti un’ottima riserva di umidità durante la stagione calda e al contempo assorbe le piogge abbondanti lasciando il terreno umido ma ben drenato.

Grappolo di chardonnay4. Côte des Bars (Aube). Il vitigno dominante è il pinot nero che in questa zona sviluppa caratteristiche minerali e fruttate.

Nell’Aube invece sia il clima che il suolo sono più borgognoni. Le temperature medie sono un po’ più alte e il suolo non è gessoso, bensì argilloso-calcareo. In particolare troviamo il suolo di kimmeridge di formazione giurassica anch’esso molto ricco di fossili marini. La presenza di argilla permette il proliferare di microorganismi che interagiscono con l’apparato radicale della pianta e conferiscono al vino dei sentori minerali particolari e differenti da quelli presenti nelle regioni della champagne più a nord, site su suolo gessoso.

5. Côte de Cézanne. Il vitigno principale è lo chardonnay.

In Côte de Sézanne ritroviamo I suoli gessosi, ma qui cambia la tipologia di fossile marino incluso nel calcare (micraster). I vini hanno profumi fruttati intensi e gustosi, ma non arrivano all’eleganza degli chardonnay della Côte des Blancs.

 
 

LA STORIA

Abbazia di HautvillersDurante il regno di Carlo II d’Inghilterra (XVII sec.) i commercianti inglesi importavano dalla Francia il vino bianco e lo imbottigliavano subito dopo il trasporto nei modernissimi recipienti di vetro che erano in grado di produrre grazie all’arte delle vetrerie che si stava sviluppando. Si accorsero che a primavera il vino imbottigliato in vetro riprendeva la fermentazione e i vini diventavano frizzanti e la cosa si accentuava in quei vini ai quali l’importatore aveva aggiunto zucchero durante il trasporto, pratica comune ai tempi.

La stessa cosa aveva notato in Francia Dom Pierre Perignon, cellarius dell’abbazia benedettina di Hautvillers, che stava studiando il fenomeno delle bollicine, per una loro eliminazione, visto che era considerato un difetto. La sua genialità emerge anche nell’idea di trasformare questo presunto difetto in un vantaggio commerciale ed inizia così uno studio volto alla loro valorizzazione.

Il suo maggiore contributo alla qualità dello champagne resta però l’invenzione del metodo della cuveé. I vigneti della regione contenevano, pinot meunier, pinot gris, pinot blanc, chasselas e chardonnay e la qualità di queste uve era molto variabile. Egli si accorse di come il pinot nero fosse l’uva migliore per la sua zona e ne promosse la coltivazione a basse rese.

 

Dom PerignonDom Pérignon fu il primo a vinificare mantenendo separate le uve provenienti dai diversi vigneti, ritenendo che ogni singola vigna fosse capace di dare qualità proprie e uniche: in altre parole fu il primo ad applicare il concetto di cru. Egli fu anche il primo a sostenere che era meglio imbottigliare il vino non appena pronto piuttosto che lasciarlo nelle botti.

Grazie a Dom Perignon la qualità dei vini della champagne erano aumentati decisamente e grazie anche alle resistenti bottiglie inglesi di vetro scuro ed all’utilizzo del sughero per i tappi, si era anche risolto il problema della sovra-pressione della rifermentazione e in cantina a primavera le bottiglie non scoppiavano più. In Inghilterra, a causa del forte depauperamento delle foreste inglesi causato dalle esigenze dell’industria navale britannica, il re Giacomo I proibiva l’utilizzo di legna per le vetrerie obbligandole, di fatto, all’utilizzo di carbone fossile. Questo processo di lavorazione rendeva le bottiglie più scure ma molto più resistenti.

 

Cave de ChampagneUno dei problemi che si presentarono di più difficile soluzione era l'intorbidimento del vino durante la sua rifermentazione in bottiglia. In altre parole lo Champagne era torbido e veniva decantato fino a quando i sedimenti non fossero stati eliminati, ma in questo modo si perdeva buona parte della effervescenza, quindi il vino diveniva piatto e senza bollicine. Bisognerà attendere il 1818 quando un dipendente di Madame Ponsardin, passata alla storia come vedova Clicquot, sviluppò il sistema ancora oggi noto con il nome di rémuage, cioè il sistema di ruotare e scuotere le bottiglie con lo scopo di fare scivolare il sedimento verso il collo in modo da poterlo eliminare più facilmente.

I primi Champagne erano inoltre molto più dolci di quanto lo siano oggi. La pratica di aggiungere il dosaggio era praticamente necessaria in modo da mascherare le durezze del vino. Con il miglioramento delle tecniche di produzione anche la qualità dello Champagne migliorò e progressivamente la sua dolcezza diminuì fino ad arrivare ai cosiddetti brut, un traguardo raggiunto solamente verso la metà del 1800. Oggi molte case affidano addirittura ai “pas dosé” le migliori espressioni della loro produzione.

 

 

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